Focus

La personalizzazione del risarcimento del danno

La sentenza n. 28988/2019 (Pres. Cons. Amendola Rel. Cons. Positano), una delle dieci nuove sentenze di San Martino, depositate l’11 novembre 2019 nella Cancelleria della Terza Sezione Civile della Suprema Corte di cassazione, affronta il problema della cd. personalizzazione del risarcimento del danno alla salute. Pur nell’esigenza di garantire uniformità di trattamento, infatti, i giudizi di responsabilità medica hanno ad oggetto l’accertamento e la liquidazione di un danno alla persona, e ogni persona presenta una sua singolarità che la distingue dagli altri. È questo il motivo per cui è previsto che la misura standarddi risarcimento del danno, ottenuta monetizzando la percentuale di invalidità indicata dal medico-legale, possa essere aumentate (ma anche diminuita) così da meglio adattarsi al caso concreto (in questo senso si parla di “personalizzazione”). L’intervento della Suprema Corte ribadisce a quali condizioni è possibile personalizzare il risarcimento.

Il caso sottoposto all’attenzione del Collegio ha ad oggetto una domanda di risarcimento danni avanzata dai genitori di un bambino che, per via di un’errata manovra durante il parto, ha riportato una distocia alla spalla, causa di un’invalidità permanente del 13%. Tra i danni non patrimoniali domandati nei confronti della struttura e degli operatori sanitari, gli attori lamentavano un danno «biologico da invalidità permanente e temporanea, alla vita di relazione, alla veste estetica, morale soggettivo, esistenziale, alla vita privata, al rapporto familiare parentale, per la lesione del diritto ad una compiuta informativa e, comunque, per la lesione dei diritti personalissimi inviolabili»; in secondo grado, la domanda attorea veniva accolta. Riformando la decisione impugnata, i Giudici di legittimità hanno stabilito che «la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale ed affatto peculiari. Le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l’id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento».

Infatti, tutte le conseguenze ordinarie prodotte da una certa lesione, ossia le conseguenze che sono inevitabilmente identiche per tutti i soggetti che hanno subito la stessa menomazione, sono già racchiuse nel grado di percentuale di invalidità permanente indicato dal medico-legale. D’altronde, i barèmesda quello adoperati per esprimere il grado d’invalidità permanente riportato dal danneggiato sono composti proprio tenendo conto, su di un piano statistico, delle conseguenze dannose normalmente prodotte da una certa menomazione. Conseguenza di ciò è che ove la personalizzazione poggi su una di quelle si finisce per liquidare due volte lo stesso pregiudizio, con ingiustificata locupletazione del danneggiato ai danni del danneggiante. È allora evidente che solo le conseguenze straordinarie, ossia quelle che non sono identiche inevitabilmente per tutti i soggetti che hanno subito la stessa menomazione, ma sono patite soltanto da uno specifico soggetto, giustificano la personalizzazione proprio perché non ricomprese nel grado percentuale d’invalidità permanente.

Per meglio comprendere il concetto sarà sufficiente fare un esempio. Si pensi ad un soggetto che, per via di una errata diagnosi, ha perso in parte l’udito. La maggiore difficoltà d’ascolto è una conseguenza inevitabile e, quindi, identica in tutti i soggetti che hanno subito la stessa menomazione; in quanto tale, questa perdita è già considerata nel barèmemedico-legale e il suo risarcimento in via autonoma costituirebbe un’illegittima duplicazione. Tuttavia, si immagini che quel soggetto fosse un tenore, che per via della menomazione subita potrebbe non essere più in grado di esibirsi; questa circostanza, non comune, non può considerarsi normale conseguenza ricompresa nel barème, per cui legittimerà un aumento del risarcimento del danno.

Nel riaffermare questo principio (nello stesso senso, già, Cass. Sez. 3 n. 21939/2017; Cass. Sez. 3, n. 23778/2014), il Collegio si sofferma sulle ragioni per le quali le conseguenze straordinarie consentono al giudice di discostarsi dalla misura standarddi risarcimento. Infatti, l’enunciazione dei presupposti per la cd. personalizzazione del risarcimento è anche l’occasione, per la Corte, per scacciare nuovamente il fantasma del cd. danno dinamico-relazionale (anche detto danno esistenziale) definizione equivoca, e non più adoperata, con la quale per lungo tempo si è inteso far riferimento ai pregiudizi esistenziali, agli sconvolgimenti nella vita del danneggiato causati dalla menomazione, aspetti che, oggi, sono ricompresi nel concetto di danno biologico. Si legge, infatti, nella sentenza «le conseguenze della menomazione che non sono generali ed inevitabili per tutti coloro che abbiano patito quel tipo di lesione, ma sono state patite solo dal singolo danneggiato nel caso specifico, a causa delle peculiarità del caso concreto, giustificano un aumento del risarcimento di base del danno biologico. Ma ciò, non perché abbiano inciso, sic et simpliciter, su “aspetti dinamico relazionali”: non rileva, infatti, quale aspetto della vita della vittima sia stato compromesso, ai fini della personalizzazione del risarcimento; rileva, invece, che quella conseguenza sia straordinaria e non ordinaria, perché solo in tal caso essa non sarà ricompresa nel pregiudizio espresso dal grado percentuale di invalidità permanente, consentendo al giudice di procedere alla relativa personalizzazione in sede di liquidazione».