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Malpractice medica: alla vittima la riparazione integrale del pregiudizio subito.

La cassazione -in caso di malasanità- riconosce al danno morale una “autonoma consistenza”.

Con l’ordinanza numero 19189 depositata il 15 settembre 2020 la terza sezione civile della Corte di Cassazione ha chiarito che, in un caso di malasanità, il paziente ha diritto alla riparazione integrale del pregiudizio subito, e dunque anche al risarcimento in via autonoma del danno morale.

La Suprema Corte, chiarisce -con determinatezza-, a tutela del danneggiato, che “… non può essere in ogni caso disconosciuta al danno morale autonoma consistenza, là dove esso si riferisca a profili di pregiudizio (il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sè, la paura, la disperazione) non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente (Cass. 11/11/2019, n. 28999; Cass. 27/03/2018 n. 7513; Cass. 28/09/2018, n. 23469); la liquidazione del danno alla persona deve, infatti, aver luogo: evitando duplicazioni, misurandosi con l’unitarietà del danno non patrimoniale, ma anche assicurando alla vittima l’integrale riparazione del danno subito …”.

Gli Ermellini, pur tenendo presente che la preoccupazione concordemente manifestata dai giudici di legittimità è quella di evitare inammissibili duplicazioni risarcitorie, e dunque il rischio di riconoscere alla vittima un ingiustificato arricchimento, evidenziano tuttavia che “Il fatto che la liquidazione debba essere unitaria (Cass. 17/01/2018, n. 901 ha chiarito che unitarietà significa che la lesione di un interesse della persona costituzionalmente protetto avente carattere di inviolabilità produce un danno non patrimoniale) non può risultare lo schermo dietro cui celare liquidazioni astratte e non trasparenti, e men che mai può tradursi in una arbitraria ed immotivata contrazione del risarcimento.

Proseguono i Giudici di Piazza Cavour, sottolineando che “Ad impedire tale ultima eventualità vi è il fatto che oltre che unitario il danno non patrimoniale deve essere omnicomprensivo, cioè deve garantire che la vittima ottenga l’integrale risarcimento del danno, venendo compensata di tutte le conseguenze pregiudizievoli cagionate dall’illecito.

Dunque la liquidazione del danno deve essere unitaria, evitando duplicazioni, ma deve assicurare alla vittima l’integrale riparazione del danno subito.

Vi è di più, la Suprema Corte infanti, aggiunge che “ … ove ricorra il danno biologico deve escludersi che esso esaurisca il danno non patrimoniale alla persona … ”, precisando che “Solo una logica deformante di panbiologizzazione che, per di più, fraintende il significato della omnicomprensività, può indurre a credere che il danno biologico abbia carattere assorbente ed esclusivo di ogni altra voce di danno alla persona

Ed ancora, “In aggiunta, nè l’unitarietà del danno non patrimoniale nè la diffusione e l’incentivazione all’uso delle tabelle di liquidazione esonerano il giudice dall’obbligo di rendere trasparenti i criteri di liquidazione adottati nè da quello di dare contezza del contenuto descrittivo del danno, non solo al fine di rendere intellegibile la funzione del risarcimento, ma anche di verificare il collegamento e la corrispondenza tra le poste ammesse al risarcimento, i criteri di liquidazione adottati e la somma in concreto riconosciuta alla vittima che deve essere tale da garantire e coniugare l’uniformità di base – ciò si realizza facendo in modo che vittime della stessa età e con la stessa percentuale di invalidità permanente ottengano lo stesso risarcimento – con la valorizzazione del vissuto individuale in vista della realizzazione di una eguaglianza che sia anche sostanziale.”

I Giudici del Palazzaccio precisano comunque che la liquidazione del danno morale non è da considerare conseguenza automatica dell’avvenuto riconoscimento del danno biologico, infatti, “La vittima non può pretendere, in assenza di prova della ricorrenza di una situazione eccezionale, la liquidazione di un quid pluris, nè come voce autonoma di danno, diversamente etichettato e nominato, nè come adeguamento in sede liquidatoria di quanto già riconosciutole a titolo di danno biologico”.

Andando ad esaminare il caso concreto sottoposto alla loro attenzione, in cui la vittima chiede il riconoscimento a fini risarcitori di una conseguenza pregiudizievole diversa dal danno biologico, ove per diversa dal danno biologico si intende una proiezione negativa dell’illecito che non abbia costituito la base di riferimento per la liquidazione del danno biologico, al fine di dissipare ogni dubbio, viene chiarito che “Non basta lamentare una generica sofferenza fisica, la quale non può che accompagnarsi al danno biologico patito – chi subisce un danno biologico sottoponendosi, ad esempio, ad uno o più interventi chirurgici, a terapie, a percorsi di riabilitazione, perde o vede ridotta e modificata la possibilità di intrattenere rapporti sociali”.

Detto ciò, gli Ermellini evidenziano quando si può riconoscere la “sofferenza interiore”, ovvero il danno morale, così “Altro e diverso aspetto del danno risulta la sofferenza interiore (danno cd. morale) che dipenda, ad esempio, da come il danneggiato percepisce la lesione nella relazione intimistica con sè stesso, dalle circostanze in cui si è manifestato l’illecito, dalla gravità della condotta dell’agente”.

Ricorrendo tali ipotesi, la posta risarcitoria oggetto di richiesta si colloca inevitabilmente al di fuori del danno biologico, quindi, dovrà ad esso sommarsi, senza la preoccupazione di dar luogo ad una inammissibile duplicazione.

Sul punto, la Corte ribadisce ancora che “Al fine di bandire ogni automatismo occorre però che la vittima alleghi situazioni circostanziate, non bastando enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche, e che dimostri – può avvalersi, a tal fine, di ogni mezzo di prova, anche del fatto notorio, delle massime di esperienza e della logica inferenziale – la ricorrenza di conseguenze peculiari che nel caso concreto abbiano reso il pregiudizio sofferto diverso e maggiore rispetto ai casi consimili.”

Diversamente, ove le proiezioni negative patite non divergano da quelle subite da altre vittime della stessa età e con lo stesso grado di invalidità permanente la vittima non avrà diritto al riconoscimento di un quid pluris rispetto alla somma riconosciuta a titolo di danno biologico.

Applicando questi principi, la Corte con l’ordinanza in commento, ha ritenuto che nella fattispecie esaminata, il motivo di impugnazione era meritevole di accoglimento, conseguentemente, accogliendo altresì ulteriori motivi di gravame, ha cassato la decisione impugnata in relazione ai motivi accolti, e rinviato la controversia alla Corte d’Appello competente in diversa composizione.

Avv. Antonia Grasso